Quale è l’origine del nome Cèch? Da quale popolo, da quale evento così distintivo da caratterizzare in modo esclusivo la Costiera da imprimerle il marchio indelebile di Cèch?

La Costiera dei Cèch è quel tratto di versante retico valtellinese esteso fra l’imbocco della Valchiavenna ed il solco della Valmasino. La caratteristica predominante è l’ottima esposizione a sud di cui gode che le garantisce un clima mite anche in inverno. Il perché si chiama “Costéra” (Costiera) è facile da capire: la fascia montana si innalza dal fondovalle pianeggiante (circa 200 m slm) in maniera molto ripida.

Cèch da ciechi?

Respingiamo una spiegazione molto diffusa, basata su una leggenda Longobarda. Alla Regina Teodolinda (589-628) si ascrive il merito di aver collaborato con papa Gregorio Magno nella diffusione del Cattolicesimo, ovunque giungesse il dominio longobardo.

Residente nel castello detto della Regina sopra Traona, si adoperò per la conversione degli abitanti dei paesi della Costéra ma con risultati così deludenti da indurla a confidarsi, in un dialogo avallato dalla fantasia, con i Frati Irlandesi da lei invitati come missionari: “Caro Fra Colombano vi ringrazio per il vostro zelo: i miei Longobardi, con il mio sposo Agilulfo, hanno ricevuto il Battesimo. Dio li fece uscire dal buio più profondo, spezzò le loro catene, ma i pastori di questi villaggi della Costéra han rifiutato la conversione alla luce della vera fede: erano ciechi e ciechi sono rimasti.”

Gli abitanti della Montagna di Demofole in seguito si convertirono, passando dal buio dell’incredulità alla luce del Vangelo, ma la drastica definizione della Regina, Ciechi, è rimasta appiccicata nei secoli come un marchio indelebile.

È storicamente accertato che, stimolati da papa Gregorio, Re Agilulfo e la Regina Teodolinda accostarono i loro Longobardi e i popoli da loro assoggettati, alla civiltà cattolica dei latini ricevendo il battesimo ortodosso romano.

Una volta entrati in seno alla Chiesa, gli antichi persecutori, con quell’energia bollente che era propria della loro stirpe, ripararono le chiese e i cenobi bruciati, fondarono monasteri e capitoli, scuole e ospedali. Ogni nobile longobardo si sarebbe sentito indegno della religiosità del suo popolo, ove non avesse eretto nei propri domini qualche chiesa od oratorio per la salvezza della sua anima.

Se storicamente è giusto assegnare ai Longobardi i meriti delle lodevoli opere compiute, dopo la loro conversione, non è altrettanto giusto attribuire ad essi l’equazione Ciechi=Cèch, anche perché il dominio longobardo non si limitava alla Costéra. In un documento del 724 si parla di possessi del Re Liutprando a Morbegno, Delebio, Samolaco, Roncaglia di Piuro e Dongo.

Cèch da Franchi?

La presenza dei Longobardi Agilulfo e Teodolinda sulla Costéra dei Cèch è tramandata solo da leggende inaffidabili; invece, la dominazione dei Franchi in Valtellina è attestata da documenti inoppugnabili come quello dell’anno 775 con il quale Carlo Magno concede al monastero di San Dionigi di Parigi “certi pagi o villaggi in Longobardia vel Vallis Tellina”.

La conclusione è: se i Franchi avessero dato origine al nome Cèch, questo non sarebbe stato circoscritto alla sola fascia Costéra, ma avrebbe abbracciato anche altri territori a loro assoggettati, tanto al di qua che al di là dell’Adda, tanto al di sopra del Lario quanto nella vasta pianura Padana.

Cèch dai Paravicini?

Analoga verosimiglianza potrebbe venire dalla leggendaria origine franca del casato Paravicini, che in Bassa Valtellina rivestì grande rilievo. Il capostipite era uno dei dodici paladini che avevano accompagnato l’Imperatore dei Franchi Carlo Magno nella spedizione contro i Saraceni in Valtellina e in Valcamonica.

Il Paravicini, in compenso dei suoi servigi, ebbe l’investitura di ricchi feudi nel Comasco (Incino e Paravicino di Brianza) e in Valtellina: centro del potere era Coffedo (Caput feudi), colondello di Traona. Insegna del Paravicini era il cigno d’argento, volatile maestoso e pacifico, ma spesso vittima di gelosia e di malevolenza.

L’origine franca, la vastità del feudo, l’importanza del casato, la gestione del potere avrebbero potuto spiegare il termine misterioso e sprezzante di Cèch, ma anche questa derivazione non è convincente.

Altre ipotesi

Altre ipotesi meritano attenzione: l’autore del volume “Noi gente del Lario” preferisce la spiegazione dell’invasione degli Ungari e dei Cechi sulla nostra sponda e dei Saraceni o Marocchini sull’opposta.

Altra ipotesi più casalinga è la derivazione del verbo “ciacàss” o “piacàss” (nascondersi), come se la Costéra solatia fosse un’oasi dove potersi facilmente rifugiare.

Un altro filologo attinge la spiegazione di Cèch ad un monosillabo cinese che significa “amico del Sole”.

Possiamo rifiutare anche un’altra spiegazione… astronomica… che dà la colpa al sole che “acceca” la nostra sponda, mentre lascia in penombra quella opposta.

Tutte ipotesi suggestive anche se potrebbe non dispiacere la derivazione da Francesco, San Francesco, i cui Frati Minori Riformati dell’Osservanza avevano costruito conventi a Mello e a Traona. Qui giungevano in occasione del Perdon d’Assisi (2 agosto) pellegrinaggi da tutta la Bassa Valtellina. Una specie di tregua sospendeva le rivalità tra gli abitanti delle due sponde e tutti venivano tra i Cèch a fare le proprie devozioni, anche se sulla riva sinistra dell’Adda operavano altri religiosi, i Domenicani del Convento di Morbegno.

500 anni fa

Dal 1499 la Valtellina gemeva sotto la dominazione francese, definita la più “bestiale”; tempi infami per violenze, vessazioni, estorsioni: il comandante Malerbe era diventato, sottovoce, “Malerba”. Ma non ci siamo ancora, perché la dominazione francese di Luigi XII non era limitata alla nostra Costéra, questa era solo un lembo dell’egemonia francese. La logica vuole un avvenimento specifico, ristretto alla nostra zona destra dell’Adda, a questo avvenimento noi diamo una data: 1515.

Tre anni prima, esattamente il 26 giugno 1512, la Valtellina aveva cambiato padrone ed era finita nelle mani dei Grigioni. Quel giorno, infatti, tre colonne di armati avevano occupato la nostra terra: la Lega Caddea con Corrado Pianta era scesa dalla Val Bregaglia a Chiavenna; le 10 Dritture con Corrado Beeli a Tirano; la Lega Grigia a Bormio, al comando di Ermanno Capuol.

Il 27 giugno si strinse il Patto di Teglio: i Valtellini sono chiamati “cari confederati amici” e ricambiano l’idillio con esultanti: “Viva i Grigi” e non senza ragione, perché i primi provvedimenti del Podestà riguardavano l’abolizione di certe tasse e della leva militare. “Nè Franza né Spagna, adess se magna” (né Francia né Spagna, adesso si mangia).

Troppo tardi i “cari confederati”, s’accorsero di avere cambiato in peggio. Si parlò di alleanza confederativa, poi di sudditanza confederativa, poi di sudditanza o vassallaggio: restavano inalterate le autonomie comunali e immutati i vecchi statuti valligiani.

Per chiarire i rapporti, Le Eccelse Tre Leghe invitano i Valtellini a versare “una tantum” 10.000 fiorini del Reno “in pronto denaio” per aver risparmiato dal saccheggio la Valle. Troppo tardi i nostri Valtellini aprirono gli occhi sulla nuova realtà: 10.000 fiorini del Reno rappresentavano una stangata di colossali proporzioni per la misera finanza locale.

Cèch da Francesco I re di Francia

Dalla Francia cala in Italia Re Francesco I, successore di Luigi XII. Salito al trono nel 1514, si trovò alle prese con le guerre d’Italia cominciate dal suo predecessore: arriva in Italia con un esercito di 35.000 uomini, 100 colubrine e 60 cannoni.

Alleato con i Veneziani si scontra con il generale spagnolo Prospero Colonna e si accampa a Marignano (Melegnano) per impedire il congiungimento degli Spagnoli con gli Svizzeri: grande battaglia. Sembra che gli Svizzeri, strappate 12 bandiere, catturati 12 cannoni, abbiano la meglio: “per tutta Italia corsero i cavallari a significare gli Suizzeri aver messo in fuga lo esercito delli inimici”.

Troppo presto esultarono, perché i Francesi, il giorno dopo, 14 settembre 1515, costringono gli Svizzeri a ripiegare. “Battaglia di giganti” fu definita la battaglia di Melegnano. Furono metà distrutti e gli altri decimati nella fuga precipitosa, sul lago di Como, dagli abitanti di Torno.

Ritornarono così i Francesi che recuperarono il Ducato di Milano. Francesco I vuole che tornino sotto il suo dominio tutti i territori già del Ducato di Milano ed invia il suo capitano Giulio Sanseverino a riconquistare le tre Pievi (Dongo, Gravedona, Sorico) e la Valtellina.

All’annuncio della strepitosa vittoria dei Francesi a Melegnano, gli abitanti delle Tre Pievi e della sponda solatia della Bassa Valtellina, si sbarazzano dei Grigioni già disfatti in combattimento, e come segno della loro esultanza, abbattono ogni insegna che ricordi la dominazione Grigione che in tre anni aveva già dato i frutti di un pesante servaggio. Lo stambecco rampante, la “cavra” (capra) come era chiamato per dileggio lo stemma grigione, scompare dalle mura e dalle pareti della Squadra di Trahona.

Esultanti i Traonaschi acclamano: “Viva la Francia, morte ai Grigi” mentre il resto della Valtellina, al dire dello storico Quadrio: “ricordevole della barbara tirannia sotto i Francesi sofferta e lusingata dal vantaggioso stato che sotto i Grigioni sperava di godere, volle quieta tenersi”.

Gli altri Valtellini rifiutarono di unirsi agli insorti, condannarono ogni azione avversa ai Grigioni, anzi per allontanare ogni sospetto di tradimento, riunirono il Consiglio di Valle per inviare ambasciatori ai Grigioni e assicurarli della fedeltà immutabile della Valle.

Quelli delle Tre Pievi e quelli della sponda solatia della Bassa Valtellina furono derisi, accantonati, incolpati ed ebbero, tra i dileggi degli altri paesi, una severissima punizione. Per ora si rafforza l’ipotesi della derivazione di Cèch dalle preferenze riservate a Francesco I: le popolazioni che avevano parteggiato per quel Re si erano guadagnate quel nomignolo ironico e malizioso.

La spiegazione ci sembra accettabile: i fautori della dominazione francese ebbero quasi un marchio indelebile: quelli della montagna sopra Dongo, Gravedona, Sorico furono chiamati “MunCèch”; quelli della montagna a destra dell’Adda nella Bassa Valtellina furono chiamati “Cèch”.

Fosse rimasto solo il nomignolo dispregiativo… Invece una terribile spedizione punitiva si abbatté sui nostri paesi.

“Allarmate le Tre Leghe, con accelerata ed improvvisa marcia, premesse per via di Chiavenna più insegne, oppressero i nascenti tumulti in Caspano e Traona e sorpresi molti dei capi con pene pecuniarie e con la loro prigionia ne fecero vendette”. Le quali vendette si espressero tangibilmente con una multa di 3000 fiorini e col vuotar tutte le cantine del vino vecchio e del nuovo.

Tutto rientrò nell’ordine: con grande scorno di quei paesi che avevano sognato, pur di scrollarsi la tirannide dei Grigioni, l’antica dominazione francese, ed anche, diciamolo pure, con divertimento spassoso di altri paesi.

Quanti dileggi, quanti rabbuffi vicendevoli: gli uni rimbeccavano gli altri umiliandoli e schernendoli: era nato il nomignolo Cèch destinato ai paesi che avevano parteggiato per Francesco I, Cecco, Cèch …! In tempi a noi meno lontani si ripeté lo stesso fenomeno beffardo, quando l’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo d’Austria, venne chiamato “Cecco Beppe” e certi suoi esperti fucilieri soprannominati “cecchini”.

Le Tre Pievi dovettero poi sottostare alle angherie e rappresaglie dei Grigioni degnamente rappresentati in loco dal famoso “Matto di Brenzio”, che si fece capo di “persecuzioni e spogli esercitando”. Venne impiccato dai Francesi nel 1523.

Ritornando alle rivalità “di qua e di là dall’Adda”, vale la pena ricordare come i Valtellini che nel settembre 1515 avevano rifiutato di unirsi ai Traonaschi nell’insurrezione contro i Grigioni, si videro insinuare dai Magnifici Signori Reti, “come prova di fedeltà”, un’ingiunzione di 3000 fiorini. Quelli del Terziere di Sondrio presero le armi, sperando che anche la Bassa Valtellina dei Cèch collaborasse, ma, rimasti soli, subirono una grave disfatta il 2 dicembre 1515 al Ponte di Berbenno.

Seguì la cosiddetta “Pace Perpetua”, in base alla quale gli Svizzeri si impegnarono a non combattere più la Francia anzi a fornire milizie mercenarie, norma rispettata sin quasi alla fine del secolo XVIII. Le rivalità fra i fautori dei Grigioni e quelli dei Francesi continuarono con vantaggio degli oppressori che sfruttarono i campanilismi locali per rinsaldare il loro dominio. I Grigioni, ad esempio, favorirono i contadi di Chiavenna e Bormio a danno dei Terzieri della Valtellina, privilegiarono Morbegno e i paesi sulla sinistra dell’Adda a danno della Squadra di Trahona, suscitando gelosie e rancori.

Concludendo la ricerca sul nomignolo Cèch che ci è rimasto incollato da oltre 500 anni e ci viene ricantato con bonarietà scherzosa e talvolta con acredine dispettosa, confermiamo la derivazione da Francesco I, per il quale i colondelli della Squadra di Trahona avevano parteggiato, in contrasto con i paesi della sponda opposta.

Per chiudere in bellezza, riferiamo il giudizio dello storico Orsini che descrive: “I Cèch sono biondi, alti, di carnagione chiara, di carattere espansivo, allegro, che richiamano una vaga assomiglianza al famoso Gallo morente dei Musei Vaticani”.

  • BIBLIOGRAFIA
  • Songini, don Domenico, “Storia e… storie di Traona – terra buona”, vol. I, Bettini Sondrio, 2001