La data di edificazione del palazzo non è precisata, ma è sicuramente anteriore al 1534, anno di datazione degli affreschi della famosa “Camera Picta”, un tempo presenti nel palazzo.

Il palazzo Parravicini Vertemate venne acquistato dalla famiglia Dell’Oro nei primi anni del Novecento, dopo che nel corso dell’Ottocento si era estinta la famiglia Parravicini Vertemate, storica proprietaria dell’edificio.

Per conoscere questo palazzo occorre ripercorrere le tappe della storia delle famiglie che vi hanno dimorato. Questo bellissimo edificio, infatti, ha origini molto antiche, rintracciabili anzitutto nelle famiglie Malacrida e Parravicini, entrambe pervenute a Traona dal borgo retico di Caspano nel XV secolo. Accurate ricerche hanno accertato, infatti, che nel 1436 la famiglia Malacrida era presente a Traona con Emanuele.

Più tardi, nel 1622, Flaminia Malacrida sposò Virgilio Vertemate di Piuro; dal matrimonio nacquero Francesco e Paolo. Dopo la distruzione di Piuro, avvenuta nel 1618 a causa di una frana, un ramo della famiglia si trasferì a Traona, dove, nel 1634, è attestato Francesco. Anna, sua figlia, andò in sposa a Giovanni Pietro Parravicini.

Ebbe così origine la famiglia Parravicini Vertemate, una delle più importanti del paese, il cui stemma si può ammirare al di sopra dell’altare dedicato alla Santissima Trinità nella Chiesa di Sant’Alessandro; esso è suddiviso in due parti simmetriche: a sinistra è rappresentato un cigno, simbolo della famiglia Parravicini e a destra la torre sormontata dall’aquila, emblema dei Vertemate.

Il salone

La sala è riccamente dipinta sulle pareti e sul soffitto. Le pitture sono state realizzate tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 e rappresentano per lo più scene mitologiche. Il grande affresco al centro del soffitto raffigura un episodio della dea Diana al bagno con il suo corteo; nella porzione del dipinto in basso a sinistra si può notare Atteone, che l’aveva sorpresa mentre si bagnava nel fiume. La dea, temendo che egli si sarebbe vantato di averla vista nuda, si infuriò e lo trasformò in un cervo che i suoi stessi cani immediatamente divorarono.

Agli angoli del grande dipinto centrale, completano la decorazione del soffitto quattro tondi con affreschi raffiguranti scene tratte dalla mitologia antica. L’affresco nell’angolo in basso, a sinistra del grande dipinto centrale, rappresenta Paride nell’atto di ricevere il pomo d’oro da Mercurio. Come è noto, secondo il mito Paride diede il pomo ad Afrodite, ottenendo in cambio il possesso della bellissima Elena.

Procedendo in senso orario l’affresco successivo, nell’angolo in alto a sinistra, raffigura Dafne che, nell’atto di sfuggire ad Apollo innamorato di lei, viene trasformata in una pianta d’alloro.

Il tondo successivo rappresenta il mito di Andromeda, la quale, incatenata ad uno scoglio, sta per essere sacrificata al mostro marino per placare l’ira di Poseidone. La scena raffigura il momento in cui Perseo, in groppa a Pegaso, il cavallo alato, passando di là di ritorno dopo aver sconfitto la Medusa, vede la giovane Andromeda che sta per essere assalita dal mostro e la salva mostrando la testa della Medusa al mostro, che viene così tramutato in pietra.

Infine, l’affresco dell’ultimo tondo raffigura Piramo e Tisbe: secondo la leggenda nella versione di Ovidio, Piramo e Tisbe erano due giovani innamorati l’uno dell’altra, ma il loro amore era contrastato dai parenti; perciò, i due, che erano vicini di casa, erano costretti a parlarsi attraverso una crepa nel muro che separava le loro abitazioni. I due innamorati programmarono allora la fuga. Tisbe, arrivata per prima nel luogo dell’appuntamento, sotto una pianta di gelso incontrò una leonessa, dalla quale riuscì a mettersi in salvo perdendo però un velo, che la belva stessa stracciò e macchiò di sangue. Piramo, giunto sul luogo dell’appuntamento e trovato il velo macchiato dell’amata, la credette morta e si uccise. Tisbe, giunta successivamente, trovò Piramo morente, così si uccise a sua volta per il grande dolore.

Tutte le pitture sono legate da un raffinato programma decorativo a stucco con festoni, armi, bandiere, stemmi nobiliari. A testimoniare la storia di questo palazzo, infatti, si possono osservare, posti agli angoli della sala, gli stemmi delle nobili famiglie Malacrida, Parravicini e Vertemate, alcuni membri delle quali dimorarono in questo palazzo.

I sette sopra porta di forma rettangolare che decorano le pareti del salone raffigurano dei putti, intenti in attività agresti legate al ciclo delle stagioni. A partire dalla porta d’ingresso nel salone, in senso orario, si riconoscono queste scene: la vendemmia autunnale: putti che si scaldano al fuoco di un braciere invernale; la caccia; la pesca; la ghirlanda di fiori, simbolo della rinascita primaverile della natura; la mietitura estiva; putti rappresentati come fabbri intenti a molare una falce, come accadeva nei mesi invernali, quando i contadini si occupavano della manutenzione degli attrezzi agricoli.

Passando attraverso un grazioso salotto e un’ampia camera da letto si accede alla parte dell’edificio nella quale sono stati scoperti i preziosi affreschi della “Camera Picta”.

La “Camera Picta”

Originariamente questa porzione della casa era costituita da un locale unico; esso, fino ad almeno tutto il XVI secolo, ebbe forse la funzione di cappella privata. In un periodo successivo il locale venne adibito a stüa (denominazione delle tipiche stanze foderate di legno delle antiche case alpine).

Nel 1958 la famiglia Dell’Oro decise di ristrutturare questa parte dell’edificio, suddividendo la grande stüa in alcuni locali più piccoli. Durante le operazioni di rimozione dei rivestimenti in legno delle pareti del grande locale, vennero alla luce pregevolissime pitture murali di una “Camera Picta” fino a quel momento rimaste celate.

Gli affreschi, datati 1534, sono opera di un non meglio precisato pittore chiamato “Maestro di Traona” e raffigurano un ciclo di raffinate monocromie di argomento filosofico-religioso.

All’interno del palazzo attualmente è possibile vederne solo le riproduzioni: gli affreschi originali infatti furono asportati dal restauratore Giuseppe Arrigoni e, riportati su pannelli, trasferiti nel Museo Statale di Palazzo Besta di Teglio, dove sono ancora oggi esposti.

La decorazione si divide in dodici riquadri a monocromo, delimitati da lesene adornate da grottesche anch’esse monocrome: solo le basi e i capitelli sono dorati. Un contrasto cromatico si riscontra sui cornicioni percorsi da una sottile modanatura dorata; sopra le scene a monocromo c’è una cornice perimetrale che fa da elemento di raccordo. Qui il pittore introduce il giallo come sfondo, dove ci sono medaglioni con stemmi e ritratti di scrittori latini e imperatori romani, cartigli inneggianti all’umiltà e piccoli decori di ascendenza classica. Il pittore ha poi inserito commenti e motti moraleggianti lungo i bordi dei medaglioni sui toni dell’azzurro e di un color vinaccia.

Le sette scene meglio conservate rappresentano: il Parnaso, San Gerolamo, Orazio, Santa Caterina D’Alessandria, il potere temporale e religioso, la Pietà e la Parabola del Ricco Epulone. Roberto Togni, un grande professore che si occupò dei beni culturali della Lombardia, suppose che gli affreschi contenessero riferimenti al dibattito religioso tra Cattolici e Ritormati.

Negli affreschi della stanza non mancano inoltre rimandi alla cultura nordica, penetrata nelle valli alpine soprattutto con il diffondersi delle incisioni di Albrecht Durer (pittore, disegnatore, incisore, xilografo di Norimberga). In ambito locale, questi e altri affreschi richiamano quelli di palazzo Vertemate di Piuro e quelli di palazzo Besta di Teglio, che a loro volta fanno riferimento a una cultura figurativa colta ed elaborata fuori dai confini della Valtellina.

  • BIBLIOGRAFIA:
  • Giornate Fai di Primavera 2017, Istituto Comprensivo di Traona, Comune di Traona, Polaris Sondrio, 2018